Starbooks Tea time: tiriamo le somme
Tiriamo le somme, dicevamo, come è consuetudine alla fine di ogni mese, quando ormai le ricette testate sono sufficienti a poter dare un giudizio attendibile sulla credibilità del libro in esame: perchè- è bene ricordarlo- l'obiettivo dello Starbooks è riportare i manuali di cucina al luogo a cui essi stessi per primi dichiarano di appartenere, vale a dire fra forno e fornelli, in quella prova del fuoco che, se non è l'unica che devono superare, è sicuramente la più importante.
Questo mese è toccato a The Unofficial Downton Abbey Cookbook, libro dichiaratamente legato ad una serie televisiva e quindi fortemente a rischio: ci si aspettavano errori grossolani, forzature, approcci superficiali e frettolosi, tipici di chi ha intercettato l'onda giusta, dalla spiaggia, ed ora è ben deciso a cavalcarla.
Invece, non è andata così e, nel complesso, siamo soddisfatte.
Certo, non è un libro per tutti: e se è facile dire che non lo è per chi non ama la cucina inglese, è meno comprensibile sostenere il contrario- e cioè, che non lo è nemmeno per chi la ama troppo. La David, la Griegson, la Collistar, la Smith e la Berry sono lontane mille miglia, sia per la profondità dell'approccio che per la competenza tecnica. E questo, vorrei che fosse chiaro, da subito, senza dover scomodare le buon'anime della Acton o della Beaton. Se vi intendete di cucina britannica, lasciate stare: perchè il grande limite di questo libro è che è stato scritto da un' Americana, che non è riuscita a fondersi fino in fondo con la materia trattata.
E' questo, il difetto che impedisce a The Unofficial di fare il salto di qualità- e lo dico con tutto il rammarico di questo mondo: perche la Baines si è preparata, ha studiato, ha contestualizzato benissimo le ricette, le ha raccolte con criterio, le ha suddivise con altrettanto scrupolo e le ha anche spiegate bene, tant'è che, a parte un caso, sono riuscite tutte, pur con i soliti accorgimenti, qua e là.
Non solo: è anche un libro ben scritto. Così ben scritto che, come abbiamo detto più volte, non abbiamo mai sentito il bisogno dell'immagine che, per condivisibilissime scelte editoriali, non c'è: avrebbero stonato, nell'impianto generale dell'opera e, in ogni caso, non sarebbero state così essenziali, vista la capacità di scrittura dell'autrice.
Ed è anche un importante fonte di aneddoti e di informazioni, su come ci si comportava a tavola in questi anni, su cosa si mangiava, su come lo si serviva: anche i passaggi più difficili, come il ridimensionamento del servizio alla russa, dai fasti dell'età vittoriana alle ristrettezze del dopoguerra, è affrontato con la sicurezza di chi si è documentato in modo attento e scrupoloso.
La Baines, insomma, ha letto tanti libri, prima di scrivere il suo : e questo le fa sicuramente onore. Peccato, però, che non abbia letto a fondo il più importante- vale a dire quel Mastering The Art of Fresh Cooking con il quale Julia Child ha intonato uno dei più alti inni alla cucina francese. Mutatis mutandis, la Baine avrebbe potuto fare lo stesso, per la cucina britannica: se solo avesse messo da parte il sistema decimale, si fosse dimenticata del corn syrup e di tutti i contributi che l'industria alimentare contemporanea ha dato al nuovo, pessimo corso della cucina britannica. Se solo avesse osato ancora un po', trasferendo anche alla cucina la profondità del suo studio, saremmo di fronte ad un libro da tenere sul comodino. Invece, abbiamo un libro da tenere in cucina: che non è un male, per carità. Ma rispetto alle potenzialità, è un'occasione perduta.
Trenta, senza lode
al secondo mercoledì di febbraio, con il nuovo Starbooks!