Andante. Con Rabbia
Questo, è un post che avrei voluto scrivere un anno fa. E l'anno prima- e l'anno ancora prima e sempre di questo periodo: vale a dire, ogni volta che escono i "quadri" che decretano la promozione delle nostre figlie e vedo la distribuzione dei crediti formativi nella scuola italiana.
Per i beati che fossero fuori da questa raccolta punti in cui si è ridotto il nostro sistema scolastico, basti dire che da qualche anno la votazione del diploma è conteggiata in base ad un punteggio che tien conto della media dei voti e di un surplus di aiutini vari, che vanno sotto il pomposo nome di "crediti formativi": una soluzione all'italiana per permettere ai nostri ragazzi di apprendere sin di banchi di scuola quello in cui il nostro popolo tristemente eccelle, vale a dire quella triste tendenza a convogliare l'ingegno nel saper trovare scorciatoie che permettano di alleviare quello che, nel resto dell'Europa è "metà del tuo dovere" e da noi si è trasformato in una nuova fonte di ispirazione per ingegnarci a fare di meno.
A questo punto, dovrei dire che non voglio generalizzare, che fare di tutta l'erba un fascio è sbagliato e tante altre riflessioni che, di solito, son sacrosante. Invece, non lo dico: e non perchè sia vero che tutti i ragazzi sono così (guai al mondo! non lo è!): ma perchè è la scuola italiana- e quindi il ministero e quindi lo stato- che ha dato a questo meccanismo quell'impronta italica di cui mi sto lamentando.
Vale a dire, tutto fa punto.
Fa punto fare volontariato con la parrocchia; fa punto suonare la chitarra; fa punto fare sport, fa punto giocare a bridge, fa punto frequentare un corso di lingua al pomeriggio e così via all'infinito: fatevi venire in mente una delle millanta cose che abbiamo fatto anche noi da studenti (dal passatempo all'impegno sociale) e state pur certi che verrà subito tradotta in un aiutino per la maturità.
Come sempre accade in Italia, in sè il concetto non è sbagliato: si dà valore al tempo fuori scuola, ritenendolo anch'esso formativo, nella misura in cui si praticano con impegno e con costanza determinate attività. Ma appena si passa alla pratica, ecco che le cose cambiano: ua normale e salutare attività fisica in palestra diventa l'anticamera dell'agonismo; le due ore alla settimana in cui si impara a suonar la chitarra, diventano "studio dello strumento"; il sabato pomeriggio in oratorio, "attività di volontariato"- e così via, assecondando da subito quello che la scuola dovrebbe reprimere, vale a dire l'inclinazione a fare i furbi e a schivare doveri e responsabilità.
Come sapete, le nostre figlie frequentano il conservatorio e hanno abbondantemente superato il giro di boia dei loro studi. E' da quando sono alle medie, che si destreggiano fra corsi, lezioni, esercitazioni private e più avanzano nella loro formazione, più aumentano i loro impegni. Dalla riforma Gelmini, il Conservatorio è diventato un'università- e pazienza se la fascia di mezzo, in cui si trovano i nostri ragazzi, non è stata avvisata e non ha ancora conseguito un diploma: ormai lo abbiamo capito che le conseguenze delle azioni dei nostri governanti sono un problema tutto nostro.
E così, da anni, le nostre figlie e i loro compagni escono di casa alle sette del mattino e rientrano alle otto di sera: prima vanno a scuola, poi vanno in conservatorio, mangiando un panino sull'autobus e arrivando a casa asfaltate dalla stanchezza e dallo stress. Con tutta che mia figlia non si ammazza dallo studio, noi abbiamo da anni la sveglia puntata alle cinque, perchè l'unico tempo per studiare è quello. E, sotto molti aspetti, siamo anche dei privilegiati: parlavo l'altro giorno con la mamma di un compagno delle creature, che abita fuori Genova e lei mi diceva che finge di soffrire di insonnia, per fargli compagnia la notte, mentre lui sgobba sui libri.
Per carità: è una scelta e, sotto molti aspetti, è un privilegio. Hanno talento e hanno anche la possibilità di coltivarlo, con un coinvolgimento familiare costante durante l'anno e che, nel periodo degli esami e dei concerti, assume risvolti tattici, con dispiego delll'artiglieria pesante dei nonni, degli zii, dei cugini, tutti pronti a venire in aiuto del musicista in erbe stremato o dei di loro genitori, con gli occhi iniettati di sangue.
L'unica a non capire è la scuola: che assegna agli studenti del Conservatorio lo stesso credito formativo che dà a chi parla inglese con una madrelinguista o gioca a pallone due volte alla settimana. Un punto per uno non fa male a nessuno, sembra dire questa legge- e pazienza se questi si sobbarcano un sacrificio mostruoso per dieci anni, senza neanche riposarsi d'estate: un punto dice la legge- e un punto applichiamo.
A scnso di equivoci: quello di cui mi lamento non è il "punto" in sè. Detto francamente, non è quello di cui mi preoccupi io- e meno che mai quello di cui si preoccupi la creatura. Semmai, mi preoccupo- anzi: mi infurio- per quello che succede durante l'anno, con "sezioni musicali" composte da numero tre alunni del Conservatorio e tutti gli altri che lo fanno per passione- e ai nostri figli toccano le ore in più di una storia della musica annacquata, con buona pace delle quattro ore di frequenza settimanale all'omonimo corso, con esami annessi; con interrogazioni che si protraggono fino a giugno e che agli altri aggiustano le medie, ai nostri figli le rovinano; con noi genitori costretti ogni anno ad abdicare ai nostri principi- fra cui quello che, almeno a scuola, te la cavi da sola- per andare a supplicare gli insegnanti che l'anno scolastico consta di nove mesi e si può trovare un giorno diverso per l'interrogazione da quello successivo al concerto, che ce li ha risportati a casa sfiniti, alle due del mattino.
Ma non è questo il problema: il problema, semmai, è quello che sta dietro, il messaggio che passa- agli insegnanti, ai compagni e alla società tutta: e cioè, l'ignoranza abissale e colpevole che il nostro Paese ha nei confronti della musica, svilita a passatempo o a evento mondano, nella migliore delle ipotesi, e comunque percepita come accessoria ad un nuovo modello di cultura che fa di tutto per alleggerirsi dei contenuti della propria tradizione , usando le forbici della "pesantezza" e del "rinnovamento" per praticare tagli scellerati al nostro patrimonio, alla nostra cultura, alla nostra fisionomia di popolo.
Come dicevo all'inizio, sono anni che ho in mente questo post- e lo rimando sempre. Se lo faccio oggi è solo perchè ieri è stato trasmesso il filmato dell'ultimo concerto dell'orchestra di una televisione di stato greca, chiusa per ordine del governo. Le lacrime della violinista hanno fatto il giro del mondo e, fra i tanti appelli che si sono spontaneamente levati, c'è stato quello rivolto alle autorità italiane, perchè ospitino questa orchestra e le permettano di suonare.
Ecco, se posso permettermi: lasciamo stare.
O meglio: ospitiamo l'orchesta greca, ma facciamo in modo che questo sia un primo passo verso il riconoscimento di un'arte che abbiamo messo sotto i piedi da decenni, caplestandola con le suole della spocchia, della volgarità e di un concetto di cultura sempre più asservita ad un utile che passa solo attraverso il vantaggio delle persone e dei partiti. Lo scempio dei nostri teatri è sotto gli occhi di tutti- ma le radici sono ben più profonde e passano anche da quel misero punto in cui il nostro Stato condensa la fatica e la bellezza di uno dei tanti nostri orgogli, frustrando i talenti dei nostri figli in un livellamento in cui nulla si distingue- se non la protervia e l'ignoranza di chi da troppi anni gestisce la cosa pubblica come il proprio orticello, in barba a quello che siamo stati e a quello che potremo di nuovo diventare, attingendo alla grandezza del nostro passato, per poter alzare lo sguardo dalle miserie del presente e puntarlo, dritto e fiero, sul futuro.