Una pioggia di biscotti... e un argomento, non proprio da blog
da blog di cucina, intendo.
Epperò, senza l'uno (l'argomento fuori tema), non ci sarebbe stato l'altro (l'argomento in tema), vale a dire questa produzione biscottifera che qui vedete nei suoi 4/5, stante il resto nello stomaco della creatura che ha incluso nelle ribellioni adolescenziali anche i diktat materni del "prima la foto". Perchè questo è il prodotto di una delle ultime idee della sottoscritta, stavolta nate e consumate in ambito esclusivamente familiare, per arginare in modo limitato et imperfetto quello che credo sia un problema di molti- e cioè la solitudine dei nostri parenti anziani.
detta così, fa tanto elaborato strappalacrime da quinta elementare.
Ma calato nella vita di tutti i giorni, è un piccolo o grande peso sul cuore, di quelli che restano anche in quelle miracolose giornate in cui tutto va dritto, dal mattino alla sera- ed anzi, più tutto va dritto e più ti vien da pensare a cosa faranno, come staranno e come si può fare a risolvere un problema la cui unica soluzione è, spesso, uno dei tanti "mali minori" che rendono così difficili le nostre scelte di adulti.
Una volta, però, le famiglie erano diverse. Nel bene e nel male, ovviamente: però io ricordo che, quando ero piccola, ciascuno di noi poteva contare su uno o più parenti deputati all'appello e all'assistenza dei vari congiunti: di solito erano donne, spesso non erano mai state sposate, oppure erano vedove, oppure avevano una tale vocazione all'aiuto e alla solidarietà da riuscire ad occuparsi di tutto, dei loro mariti, dei loro figli e delle vecchie zie.
In casa nostra, avevamo mia nonna.
materna, intendo. quando parlo di mia nonna, mi riferisco sempre a lei. E' mancata cinque anni e un tot fa, dopo essersi cresciuta mio zio e mia mamma, me e mia sorella e aver giocato con mia figlia per dieci lunghi anni, piegandosi a tutti i desideri della pronipote, capricci inclusi- ed è da cinque anni e un tot, che i miei pensieri si son tutti trasformati in chiacchiere che faccio con lei. Per dire, uno si sveglia, al mattino, scruta il cielo e pensa "mi sa che pioverà, meglio prendere l'ombrello"? Ecco: io dico "belin, Ninni, cosa dici, pioverà? dovrò prendere l'ombrello?". Anzi, ad essere precisi, quello che c'è nella mia testa è propriamente così: "belinninnicosadicipioveràdovroprenderelombrello", senza pause, senza punti, senza virgole: perchè se solo mi fermo, per prendere fiato, mi accorgo che lei non c'è più- e anche se son passati cinque anni e un tot, non mi ci sono ancora abituata, all'abisso di questo vuoto.
A dire il vero, ora che ci penso, anche l'altra nonna, a suo modo, doveva occuparsi del parentado: ho pochi ricordi, ma il più forte e il più chiaro è quello di mio padre che, ogni volta che le telefonava, anzichè esordire con un "pronto!" le chiedeva immediatamente l'elenco dei morti e dei feriti. "Chi l'è mortu?" era il suo modo di annunciarsi, insomma. E se da questa parte del filo a mia madre schizzavano gli occhi fuori dalle orbite, dall'altra doveva sembrare tutto normale, visto che ogni volta era un bollettino di guerra. Il morto, grazie, al cielo, era un fatto occasionale, ma di acciacchi, intoppi, piccole e grandi difficoltà ce n'erano sempre.
E così, ogni sera, avevamo sempre un quadro completo della situazione. Non solo: spesso e volentieri, laddove si prospettava una soluzione, la si era anche già trovata. Mia nonna è stata in prima linea fino all'ultimo giorno della sua vita, facendo telefonate a cui seguivano visite e tessendo ogni giorno una rete di rapporti che hanno permesso, a me e a mia sorella, di avere un filo affettivo con parenti lontani, magari visti una sola volta e pure di sfuggita, ma sentiti vicini grazie alle storie che lei ci raccontava e al modo in cui lo faceva, con un accudimento che continuava, anche quando i bisogni erano quelli più materiali e meno immediati di cambiare i fiori o accendere un cero sulle loro tombe. Pure dei morti, si prendeva cura- e con lo stesso piglio con cui trattava i vivi: anzi, questi le stavano anche più simpatici dei primi, visto che avevano il buon gusto di non replicare, astenendosi dal comparirle davanti di notte per lamentarsi che il giallo sgargiante dei crisantemi non si accordava con la cravatta della fotografia.
Da quando mia nonna non c'è più, io non ho idea di che fine abbiano fatto, tutti questi parenti. Per gran parte, abitano lontani (l'ultimo cugino, che aveva giurato e spergiurato di sposare "una che sappia di pesto", è convolato a nozze a Tokio, con una ragazza che "sa di sushi", per dire); sono ancora tutti relativamente giovani, relativamente in buona salute, ancora circondati dall'affetto dei loro consorti, dei loro figli, dei loro nipoti. e questo basta, per mettere a tacere i miei sensi di colpa, ogni volta che mi vengono in mente. "No news, good news", mi impongo di pensare- e di solito finisce lì.
Almeno finchè non si tratta della famiglia di mio marito, dove invece un parente solo c'è. Solo e buono e indifeso e sempre più sprovveduto nei confronti delle insidie sempre nuove di una vita che con lui è stata avara di affetti e di calore. E che non gli ha insegnato a chiedere, nè a farsi sentire. Si defila nei suoi libri, nei suoi studi, nelle sue passioni, quasi che l'unica regola della sua vita fosse quella di non disturbare nessuno. Ed è sempre pieno di impegni e di cose da fare, per cui non è sempre così semplice invitarlo a pranzo o a prendere un caffè: è più facile incontrarlo per la strada, fra una commissione e l'altra e approfittare dell'occasione per poter verificare che vada tutto bene.
Solo che cinque minuti non bastano, così come non basta una telefonata frettolosa- quando risponde, se risponde, anche se a lui badano i miei suoceri, con tutto l'affetto e l'attenzione di cui sono capaci. E così, lo scorso Natale, mi son fatta venire un'idea e, anzichè regalargli il solito libro (che ha già) o il solito maglione (che non mette), gli abbiamo regalato una fornitura annuale di biscotti, a cadenza mensile o quindicinale o quando decide lui. L'unico vincolo, è che la consegna debba avvenire pirsonalmente di pirsona, meglio ancora se a casa nostra. E' poca, pochissima cosa: ma intanto, riusciamo a vederlo e a pensare un po' solo per lui. E, credetemi, funziona...
BISCOTTI DI FROLLA
I biscotti della foto sono stati tutti realizzati con un unico impasto base, quello della frolla di Martha Stewart. in origine, avrei dovuto preparare solo i Bull's Eye Cookies e gli Icebox Cookies (quelli con la frolla bianca e nera, per capirci), ma siccome mi son persa fra conversioni da cup a grammi e poi dalle quantità industriali della Martha a quelle domestiche mie, ho deciso di attenermi alle dosi e di sbizzarrirmi in vari modi, fino al'esaurimento dell'impasto.
Quindi, le dosi da cui sono partita sono le seguenti
per la frolla bianca
400 g di burro
350 g di zucchero
650 g di farina
2 uova
160 ml di latte
vaniglia o limone per aromatizzare
per la frolla al cacao
gli stessi ingredenti, più 60 g di cacao.
Unica avvertenza: dosate il latte con parsimonia nella frolla bianca: per me, è tanto. Mentre nella frolla al cacao, c'è voluto quasi tutto.
La cottura è stata la stessa per tutti: forno statico, 170 gradi, 10 minuti
Canestrelli al cioccolato e arancia
Frolla al cacao, aromatizzata con tanta scorza di arancia, rigorosamente non trattata e grattugiata con la microplane
Biscotti all'albicocca e cioccolato
Due biscotti tondi, tagliati allo spessore di 3 mm, farciti con marmellata di albicocche e intinti per metà in cioccolato fondente, fuso a bagno maria
la stessa base può essere farcita con marmellata di lampone e glassata con cioccolato bianco. giurin giuretto, c'erano anche quelli. Chiedetelo a mia figlia, che se li è fatti fuori tutti, ancor prima di riuscire a immortalarli)
Dried Canberry Shortbread Heart
La ricetta originaria è sempre in Cookies, Sablées, Biscuit di Martha Stewart, ma io l'ho adattata alla pasta frolla di cui sopra, aggiungendo dei mirtilli rossi essicati, fatti ammollare in acqua calda e della scorza di limone non trattato. Ho dato loro la forma di cuori e via
Bull Eye Cookies e Icebox Cookies
Dei bull's Eye sono soddisfatta, degli Icebox per niente, ma facendo si sbaglia e quindi si dovrebbe imparare.
Anyway:
per i bull's eye (occhi di bue: non sono la stessa cosa dei nostri omonimi biscotti, ma l'occhio del bue lo ricordano di pù). Fate un sassicciotto con la pasta frolla al cacao, avvolgetelo in pellicola trasparente e mettetelo in frigo a riposare per una mezz'oretta. dopodichè, stendete la frolla bianca in un rettangolo largo circa il triplo del diametro del salsicciotto, mettetevi quest'ultimo al centro e ripiegate la frolla bianca tutt'intorno, tagliando via le eccedente con un coltellino. viene fuori una cosa così
che poi andrà di nuovo lasciata riposare in frigo per un'altra mezz'ora, prima di tagliarla perpendicolarmente, in dischi dello spessore di circa mezzo mm.
Invece, per gli Icebox, ho fatto un gran pasticcio, lavorando la frolla dopo che l'avevo già abbondantemente scaldata con le precedenti lavorazioni.
In teoria, avrei dovuto stendere due rettangoli di pasta, uno bianco e uno nero, sovrapporli, arrotolarli e tagliare perpendicolramente, in modo da ottenere i classici biscotti a spirale. In pratica, avevo "ucciso" il burro della frolla, per cui sorvolo su tutto quello che ho tirato giù durante la lavorazione che ha portato alle schifezze che vedete nella foto. Ma se ci provate voi, vi assicuro che avrete degli ottimi biscotti di frolla, profumati di vaniglia e cacao. basta che non facciate come me.
Ciao
Ale