Voglio quest'uomo- qui e subito... e i canestrelli alle acciughe!
L'oggetto del mio desiderio ha un nome, (Andrea), un cognome (Segré), una professione ( Preside di Agraria all'università di Bologna) e una missione: salvare l'Italia dagli sprechi alimentari. Detta così, fa tanto "mission impossible"ma vi assicuro che, dopo aver letto l'articolo che una mano intelligente ha lasciato sulla mia scivania, con tanto di invito a scriverci su qualcosa, l'impressione muta radicalmente: perchè non sprecare si può e non è neanche così difficile come sembra.
Il credo del professor Segrè è quello comune a molti, sottoscritta compresa: il problema non sono i costi, ma gli sprechi. Se imparassimo a non sperperare il nostro denaro, a qualsiasi livello della nostra società, non ci sarebbe bisogno di dover pagare di continuo costi esorbitanti per tutto. Ce lo ripetiamo di continuo, con un umore che oscilla fral'indignazione degli sprechi scellerati del denaro pubblico e la rassegnazione di fronte all'ennesima cipolla lasciata a marcire nel nostro frigo. Ma il professor Segrè sembra aver trovato una soluzione.
La sua battaglia è contro le date di scadenza impresse sui prodotti alimentari: lui consuma yogurt scaduti da 4 mesi e spaghetti da 6, sostenendo che non è quel famigerato timbro stampato sulla confezione che decreta se un cibo è più o meno commestibile: bastano l'olfatto, il gusto, la vista e il tatto, conditi da tanto buonsenso, per orientarci ad un consumo tanto più intelligente quanto più è mirato ad arginare le spese: "Basta osservare e annusare- sostiene il prfo, nell'intervista rilasciata domenica scorsa a Il Giornale- Io mi regolo ancora così. Guardo il coperchio degli yogurt conservati in frigo: finchè non si gonfia, sono commestibili. Ho fatto compiere analisi in proposito: a mano a mano che passano le settimane, c'è solo un leto decadimento del Lactobacillus bulgaricus e una aumento dell'acidità, che è del resto la caratteristica tipica dello yogurt. Niente comunque di pericoloso per la salute". Sempre secondo il professore, la colpa è tutta della dittatura dell'Haccp, messa a punto dalla Nasa per evitare complicazioni di origine alimentare agli astronauti nello spazio: applicate sulla Terra, queste regole hanno innescato una spirale di sprechi che si è innescata su un cambio di tendenza dei nostri consumi: "siamo passati dall'economia di guerra all'economia dell'accumulo... ci riempiamo di cose che non servono", continua il professore: "lo spreco è diventato il valore aggiunto del mercato...è venuto il momento di dire basta. Abbiamo superato il limite".
Al di là di questo monito, talmente condivisibile da scadere della banalità, la parte davvero interessante dell'intervista riguarda l'incidenza delle scadenze sia in larga scala, sia applicata alla grande distribuzione: ogni anno, nel mondo, va perso dal 30 al 50% di ciò che la Terra produce: "tradotto in calorie, darebbe da vivere a 3 miliardi di individui. Tenga conto che le persone malnutrite, nel mondo, sono 2 miliardi. In Italia vengono gettati via ogni anno 20 milioni di tonnellate di alimenti che potrebbero sfamare 44 milioni di persone per 12 mesi. Non parliamo degli sprechi in agricoltura: nel 2010 abbiamo lasciato marcire nei campi 14 milioni di tonnellate di ortofrutta o perchè non aveva il calibro adatto o perchè il mercato non la richiedeva o perché avrebbe dato una remunerazione troppo bassa all'agricoltore o perchè frutta e ortaggi di provenienza estera erano più convenienti. Sa quanta acqua abbiamo sprecato, per produrre questo ben di Dio che poi non abbiamo neppure raccolto? Il calcolo è virtuale, ovviamente: 12,6 miliardi di metri cubi. Un decimo del mare Adriatico".
Sul fronte della grande distribuzione, non siamo messi tanto meglio: "Sono andato in un ipermercato e ho chiesto al direttore del reparto ortofrutta, che aveva dato la tesi di laurea con me, di mostrarmi che cosa accadeva dietro le quinte. Yogurt ritirati dai banconi a tre giorni dalla scadenza. Cachi scartati perchè sui 4 contenuti nella confezione, uno era diventanto marron. Confezioni di pasta ammaccate. Finiva tutto nel container del rusco, come diciamo qui a Bologna. Il tasso di ricambio delle merci è direttamente proporzionale alla produzione di spazzatura. Ma lo smaltimento dei rifiuti ha costi elevati, a cominciare dal trasporto, che il rivenditore mette in conto a noi. Incenerirli inquina. E badi bene che gli spreconi siamo io e lei, non i supermarket, per i quali l'invenduto rappresenta meno dell'1 per cento del fatturato"
La conferma delle teorie del professore sta tutta nel successo della sua iniziativa: ha creato Last minute market, una società spin off dell'università di bologna, il cui scopo è proprio quello di recuperare questi prodotti, ritirati dai banchi dei supermercati perchè vicini alla data di scadenza, e dirottarli verso le mense dei poveri, prima che scadano. L'idea ha avuto immediato successo: nel primo anno, il supermercato che ha aderito all'iniziativa (il Leclerc- conad) ha dirottato 17 TIR di merce invenduta su queste mense: 170 tonnellate di cibo che nel 2003 hanno sfamato ogni giorno circa 400 persone e un numero imprecisato di animali (ci sono anche loro, e spesso ce li dimentichiamo). "Alle 10, il descaffalatore- si chiama così- toglie dalle corsie del Leclerc- Conad gli yogurt che scadono fra tre giorni e li porta in un locale refrigerato. Alle 10.20 arriva Luigi, un dipendente della cooperativa sociale Pupe, ubicata a 750 metri di distanza, che se li porta via gratis. Verranno consumati dagli ex tossicomani ed ex alcolisti della comunità di recupero. Luigi va anche due volte al giorno negli ospedali Maggiore e Sant'Orsola. Ritira i pasti non consumati, dai 60 ai 90 al giorno sui 5000 che vengono preparati"
Mi fermo qui, perchè non ho più tempo, anche se di argomenti da affrontare ce ne sarebbero molti altri e magari non tutti così rosei come sembra trapelare dall'articolo. Però, l'idea mi sembra buona e in questi tempi di riflessione sulla gestione delle nostre spese e dei nostri consumi può darci una spinta ad utilizzare di nuovo quel sano buonsenso, tante volte messo da parte in nome di un'aderenza troppo rigorosa a leggi in cui l'attenzione alla cautela sovrasta spesso la chiarezza del dettato. Io, che pure sto attenta alle scadenze, ho avuto un sussulto quando ho letto la data sulla confezione del sale, tanto per dire la prima cosa che mi viene in mente. Senza contare che, il buon senso di cui sopra, è ancora a costo zero- finchè dura...
CANESTRELLI ALLE ACCIUGHE
La paternità di questa ricetta è equamente condivisa fra le ceneri del mio sistema nervoso, dopo che avevo dovuto buttare nella rumenta un esperimento non riuscito, al quale avevo dedicato tempo ed energie come mai da mesi, e l'ultima genialata della Cristina G. che, non paga della vittoria all'MTC, ha deciso di guardare un po' oltre e sfidare niente meno che il Portogallo intero: lì si vantano di avere 365 ricette di baccalà, una per ogni giorno dell'anno? E noi ne avremo una in più, tutte a base di acciughe. Gli anni bisestili ringraziano e, con loro, tutti quelli che, come la sottoscritta, aspettano da anni il riscatto di questo piccolo grande pesce, costantemente presente nelle cucine di molte regioni italiane ma senza aver mai avuto il giusto riconoscimento. Se i pesci avessero dei sindacati, sono certa che lo sciopero che avrebbe più successo sarebbe proprio quello delle acciughe: ve la immaginate, una bagna caoda senza di loro? O una sardenaira? O uno di quei piatti di spaghetti salva cena e matrimonio, riscattati dalla tristezza di un condimento anonimo con l'insostituibile tocco di questo pesce? Da oggi, a questo elenco, ci aggiungo anche queste sablè, agganciate al territorio anche dalla forma del canestrello, biscotto tipico della mia città, serviti l'altra sera al cocktail della suocera (prossimamente su questi schermi): sono nate per caso, come vi dicevo- e neanche a dirlo, sono una bontà.
La ricetta è quella che seguo da sempre, targata Felder
per una ventina di canestrelli
130 g di farina 00
100 g di burro freddo
70 g di parmigiano grattugiato (ridotti a 50)
2 o 3 acciughe sotto sale, diliscate e dissalate
facoltativo: prezzemolo e/o limone
Si frullano bene le acciughe e si passano anche al setaccio, per evitare che rimangano lische. Con la punta delle dita si impastano la farina e il burro a tocchetti e poi si aggiungono il formaggio e le acciuge: se l'impasto dovesse risultare appiccicoso, potete aggiungere un po' di farina o un po' di parmigiano, a seconda dei gusti. A me, però, non è successo, per cui ho proceduto come da ricetta. Importantissimo, come sempre per le frolle salate e le sablé, non lavorare troppo l'impasto, onde evitare che "bruci" il burro. Se vi va di aggiungere prezzemolo e o limone, il momento è adesso: del limone, meglio la scorza del succo: è più profumata, evita di aggiungere altri elementi liquidi e dà anche un po' di colore, alla fine. A questo punto assaggiate e se è il caso aggiustate di sale. La risposta è "no, non è il caso", perchè fra acciughe e parmigiano siamo ben sistemati, ma non si sa mai. In teoria, bisognerebbe far riposare l'impasto, in frigo, coperto da pellicola: in pratica, dipende: io ormai faccio sablè ad ogni occasione e quindi "ho la mano" e riesco a fermare la lavorazione in tempo. Ma una mezz'ora di riposo, a questi impasti, non può che far bene. Infarinate il piano di lavoro e il mattarello, stendete la pasta ad uno spessore di mezzo cm e con un tagliabiscotti formare le sablè, che vanno messe subito su una teglia rivestita di carta da forno. Infornate a 180 gradi, modalità statica, per 10-12 minuti. Tiratele via quando sono ancora chiare e non toccatele assolutamente nei primi dieci minuti. Lasciatele raffreddare bene, riponetele in una scatola di latta a chiusura ermetica e sforzatevi di dimenticarvele, perchè sono migliori uno o due giorni dopo.
ciao
ale